Disoccupazione giovanile in calo? Sì. Imprese che non trovano lavoratori? Anche. E allora cosa non sta funzionando? In vista del 1° maggio, Festa dei Lavoratori, facciamo il punto su un paradosso tutto italiano: mentre molti giovani cercano un lavoro, tantissime aziende non riescono a trovare personale qualificato. Qualcosa, evidentemente, non torna.
Secondo gli ultimi dati, la disoccupazione giovanile è scesa sotto il 19%. Ma non c’è molto da festeggiare: il numero è ancora alto e dietro ci sono storie di lavori precari, mal pagati, poco stabili. Allo stesso tempo, imprese di ogni tipo, dal turismo alla meccanica, denunciano la mancanza di manodopera specializzata. In pratica: i ragazzi non trovano lavoro e le aziende non trovano lavoratori. Ma perché?
Lo abbiamo già sentito: “I giovani non vogliono più fare sacrifici”. Ma è davvero così? O forse è che le condizioni non sono più sostenibili? Stipendi bassi, orari ingestibili, mancanza di prospettive. E intanto all’estero, per lo stesso mestiere, si guadagna di più, si cresce più in fretta, si viene trattati con più rispetto. Ecco perché tanti ragazzi e ragazze scelgono di andare via. Non è fuga: è sopravvivenza.
Gli Istituti Tecnici Superiori sono una delle chiavi per uscire da questo stallo. Chi li frequenta trova lavoro (spesso anche prima del diploma), in settori richiesti e ben pagati. Ma sono ancora troppo pochi a iscriversi. Perché? Perché a scuola non se ne parla abbastanza, perché vengono percepiti come “scuole di serie B”, perché manca una vera cultura del lavoro tecnico. E intanto le aziende aspettano.
Il 1° maggio dovrebbe celebrare chi lavora. Ma anche chi cerca di farlo, senza riuscirci. Dovrebbe essere un’occasione per ascoltare davvero i giovani: le loro paure, i loro desideri, le loro domande. Vogliamo stipendi più giusti, più opportunità di formazione, più attenzione alle nostre competenze. Non stiamo cercando privilegi: stiamo cercando un posto che abbia senso.
Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro non è una condanna. Si può cambiare rotta, ma servono investimenti, comunicazione, ascolto. Il lavoro non può più essere solo “trovare qualcosa che paghi le bollette”: deve tornare a essere un luogo di crescita, dignità, futuro. Altrimenti il 1° maggio rischia di diventare solo un giorno di vacanza. E niente di più.